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UNO SPAZIO PER L’ERRORE

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Come combattere la maledetta ansia del perfezionismo con il disegno (brutto)

Perfezionismo:“Considerare inaccettabile qualsiasi imperfezione”.
Tutti, prima o poi, cadiamo nella trappola del perfezionismo: vogliamo fare meglio e di più, non ci concediamo errori, spendiamo energie per essere microscopicamente precisi, cerchiamo di tenere tutto sotto controllo, prevedendo e progettando in modo che niente possa farci deviare e si possa raggiungere l’obiettivo che ci siamo prefissati.

Ci sono volte in cui la perfezione diventa vetta inaccessibile e vogliamo comunque provare la scalata, da fare con bombole d’ossigeno in spalla; si vuole raggiungere quella vetta a costo della vita, nostra e degli sherpa che ci guidano. Sono casi in cui rischiamo di cadere giù proprio mentre stiamo scalando. La ricerca estrema della perfezione ci spinge a superare i nostri limiti, ben oltre quelle che sono le nostre possibilità. Quando la perfezione ci domina e ci governa, anche uno scarabocchio sul foglio bianco diventa un mostro inguardabile.

Consideriamo lo scarabocchio sintomo di un errore, testimonianza di uno sbaglio (infatti lo usiamo per cancellare, tracciandolo anche con una certa rabbia), inutile gomitolo di linee annodate assolutamente da sbrogliare!, proiezione del disordine, della disorganizzazione, del perdere tempo.

Eppure l’etimologia della parola Errore deriva dalla radice greca èrrein, che ha il  significato di vagare, perdere la via, ingannarsi, come a dire che l’errore è uno sbaglio voluto, intenzionale quasi, una scelta possibile tra le tante. Chi erra, a volte, lo fa con coscienza.

Sant’Agostino considerava l’errare cosa umana (diabolico il perseverarci) e in qualche modo auspicabile, consigliando quindi l’erranza come una pratica da compiere; facendo un salto di secoli, è nella filosofia moderna che il tema dell’errore ha assunto sempre maggiore importanza, tanto che lo psicoanalista Jacques Lacan lo considerava un fondamento della realtà, “qualcosa che vien prima del vero e del falso”, al di là quindi di ogni verità.

Il perfezionista vuole progettare, prevedere e poi controllare che tutto vada come previsto per poter raggiungere il risultato prefissato: la sua azione mentale è preventiva, pensa sempre al “prima”, cerca di anticipare; in questo modo, invece di proiettarsi in un futuro possibile, resta bloccato nel passato, perché ogni anticipazione o previsione utilizza l’esperienza, il già vissuto, quindi dando credito alla memoria, ai condizionamenti, alle paure. Potremmo semplificare dicendo che il perfezionista ha usato il passato al posto dell’immaginazione, si è ancorato alla propria percezione dell’esistente, anzi dell’esistito, per creare una visione dell’inesistente.

Praticare l’errore: lo scarabocchio

Trovare uno spazio di pratica dover poter errare è necessario per aiutarci a non essere troppo condizionati dal passato, dall’esistito, dal ricordo, e immergersi nell’esistente, nell’esperienza del qui-ed-ora, proiettandosi nel futuro attraverso la percezione del presente.

Se si prova a disegnare senza progettare, lasciandosi andare all’inseguimento delle linee, alla decisione improvvisa, al cambio di direzione, all’annullamento della figurazione, procedendo con l’attenzione focalizzata soltanto sul momento che stiamo vivendo, concentrati sull’azione del disegnare, ecco che l’ansia da perfezione cede il passo all’accettazione di una necessaria e ineludibile imperfezione.

La paura di sbagliare, il timore dell’incompiuto, la fobia del vuoto, il rifiuto del non-senso compaiono, come spettri, agitandosi per avere la nostra attenzione, mentre disegniamo, ma se la nostra intenzione è ferma, disegnare ci farà superare queste forme di pensiero, così subdole e potenti.

Alla fine del nostro esercizio, probabilmente, avremo ottenuto niente più di uno scarabocchio, magari ampio; ci sono persone che, per darsi un tono, si sentono più fieri a dire che è un disegno astratto. E va bene così. L’imperfezione va saputa accettare e ci vuole tempo.

Il disegno, utilizzato in modo liberatorio, processuale, astratto, psico-fisico, ci permette di cambiare la nostra mentalità: invece di sentirci bloccati nel perfezionismo, ci gettiamo nel flusso delle possibilità e ci apriamo all’imperfezione.

Il disegno brutto e la via non dritta

Ogni volta che ci impegniamo nella realizzazione di un’opera, il Fare con la F maiuscola, quindi che dedichiamo il nostro tempo, la nostra mente e, soprattutto, il nostro corpo al realizzare, dobbiamo imparare a concentrarsi sul processo e non sul risultato, anche quando si prende la via ritorta invece della dritta, anche quando si fraintende, si mal comprende, si fantastica o si immagina altro: tutto fa parte del gioco, anzi del Grande Gioco, e bisogna lasciarsi andare, osservando ciò che accade e si crea.

Nei corsi di Disegno Brutto, una parte fondamentale dell’esperienza consta nella creazione di un ambiente non giudicante in cui sia accettato l’errore. All’inizio non è facile, le persone portano con se i propri condizionamenti, le proprie paure, tanti pregiudizi condivisi e non sono così disposti a mostrare un lato debole, ovvero quello che si mostra incapace, imperfetto, incline all’errore appunto.

Si dedicano così almeno 3 ore ad esercizi che ci facciano accettare la nostra incapacità e ci allontanino dagli ideali di perfezione che abbiamo in testa. Non lo si fa gettandosi in modo brutale e diabolico sul brutto, non è abbassando il metro di giudizio oppure rovesciando il significato estetico che si può progredire, bensì spostandosi su un altro piano, dove il disegno è essenziale, dove tutto il nostro impegno è funzionale e al servizio dell’atto del disegnare, senza nessun altra finalità artistica, estetica o quant’altro.

In questo modo si crea, mediante uno strumento semplice e infantile come il disegnare (male), uno spazio per l’errore, dove il presente è l’unico tempo che esiste e che va lasciato accadere, mentre il passato è un carico di conoscenze ed emozioni che mettiamo da parte prima di entrare, lasciandolo fuori dalla porta.

Sperimentando le potenzialità dell’Errare si impara l’importanza del deviare, del non-decidere, dell’agire in modo non intenzionale, del Fare per fare.

E attività come il Disegno Brutto, pur nella loro semplicità, possono aprirci un mondo di possibilità che non avevamo considerato, stimolando l’immaginazione, la visione di nuovi futuri e la costruzione di una nuova auto-stima.

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