Di solito, quando non sappiamo fare una cosa, non la facciamo. Sappiamo che bisogna imparare, studiare, dare esami prima di poter fare, bene, le cose.
Quindi se non sappiamo fare qualcosa, evitiamo di farla.
Se proprio sentiamo il bisogno di farla, cercheremo una scuola, un insegnante, un corso per poter imparare.
Sono davvero pochi quelli che provano subito a fare, quelli che, sentito l’impulso e l’urgenza di fare, provano, buttandosi senza rete. Sono esploratori al limite della pazzia, incoscienti dilettanti destinati al fallimento oppure sono geniali artefici della propria vita?
Brian Eno, famoso produttore e compositore, all’inizio della sua carriera musicale, appena abbandonata la band dei Roxy Music al culmine del successo, si mise a fare musica senza scriverla, senza essere abile nel suonare gli strumenti, senza nessun virtuosismo: cercò un modo di creare musica senza doverla suonare, ma componendola come fosse un collage, una sovrapposizione, una sintesi di elementi. Non sapeva scrivere notazioni musicali, non usava il pentagramma, non conosceva l’armonia, ma seguiva il suo istinto e l’orecchio. Procedeva a tentoni: non essendosi posto obiettivi, tutto ciò che di significativo e potente usciva dal suo lavoro per lui era un grande risultato.
Ogni perfezionismo era dedicato al processo, all’impegno che metteva nel lavoro di generazione dei suoni. Tutto sembrava crearsi per caso, sotto la spinta gentile di Eno che nuotava nel suo flusso di idee e suoni, esplorandone le profondità.
Quando i giornalisti lo intervistarono, all’uscita del suo primo disco solista, intorno al 1975, Brian Eno rispose che era un “non-musician”. Anni dopo spiegò che con questa sua definizione, anzi negazione, voleva marcare una distanza tra chi faceva musica suonandola e il modo che lui usava, senza abilità manuali o conoscenze tecniche.
Quando si disegna ai corsi di Disegno Brutto, si usa lo stesso principio: non si devono imparare le tecniche, ma provare a fare. Disegnare in questo modo è un’esplorazione continua non tanto intorno alle proprie capacità, ma alle possibilità di ogni disegno.. Generiamo immagini senza sapere cosa effettivamente stiamo facendo, componendo un libro tanto significativo quanto sorprendente di vie possibili al disegno.
Chiamiamo astrattismo ciò che è soltanto traccia della nostra azione, come se il nostro muoversi non fosse concreto e reale.