Primi appunti per una filosofia del Disegno Brutto.
Saggio è colui che sa di non sapere, affermava Socrate e in questo modo, attraverso il dubbio e l’umiltà, si apriva alla conoscenza e alla ricerca della sostanza delle cose, di ciò che si cela sotto all’apparente realtà che tutti crediamo di conoscere.
Allo stesso modo, esploratori sono quelli che dicono di NON sapere disegnare, perché possono sperimentare nel dubbio e nella loro umile incertezza un’esperienza di creazione, svincolata dalla mera imitazione del reale.
Non l’esperienza di un disegno mimetico, che si fa realtà man mano che si impara a farlo e diventa fotografia – un attimo fermo nel tempo, senza dinamismo, senza tensione tra l’andare e lo stare, senza la vibrazione dell’incertezza di fronte all’indefinibile –, ma l’esperienza di una creazione che parte da un momento zero, di vuoto (inteso come la quiete colma di potenziale del foglio bianco, carico di aspettative, ma silenzioso e già concluso nella sua uniformità), da un unico punto e che in modo naturale si sviluppa o si genera, prendendo vita e dando alla forma una Sostanza, un significato non apparentemente comprensibile che necessita di scavare la superficie, di andare anche solo un poco, al di sotto.
Invece di raccontare il reale e ciò che vediamo – l’apparenza, la prima vista, lo sguardo inconsapevole – non saper disegnare ci fa insinuare nel mondo del non percepibile, dell’Essenza o Sostanza, di ciò che sta sotto o che si cela dietro l’apparenza, squarciando il velo o grattando la superficie. Ciò che appare in questi disegni non era visibile prima, ed è manifestazione di qualcosa che arriva da dentro e da sopra e che si mescola alla memoria, alla sapienza, ai ricordi.
Ed è un ganglio intricato di significati che non riusciamo a decifrare, ma esprimendolo lo manifestiamo e lo confermiamo.
Questi disegni non hanno fermezza, non hanno presunzione, non vogliono descrivere la realtà visibile, ma si accontentano di provare a pescare nel profondo, di far affiorare frammenti abissali, sono reperti che vengono alla luce da epoche più che passate, un’antichità che non credevamo di possedere.
Una spontanea bellezza si manifesta quando agiamo con estrema naturalezza.
Agire come fa la Natura, in cui tutto si evolve senza intenzione consapevole, aggiungendo, generando, crescendo, moltiplicando cellule, lanciando nuovi rami e boccioli alla ricerca della luce.
La Natura non prevede l’errore, non giudica il suo operato, non cancella, ma segue il suo disegno e non lo interrompe.
Dobbiamo imparare a lasciare che il flusso del tempo agisca attraverso la mano; troppo abituati ad un dio interventista, ci fermiamo – interrompendone il fluire – e giudichiamo le linee, i contorni, il loro andamento, come se un fiume nel formarsi avesse tempo di pensare alle valli che attraversa, di valutare il panorama, di scegliere le montagne che gli faranno ombra o decidere il porto in cui sfociare.
Non ci sono ripensamenti, tutto va bene quando siamo concentrati e si esprime un’estrema naturalezza. Vedere dove ci porta ciò che abbiamo iniziato è più importante di ciò che avevamo deciso a priori: c’è qualcosa di più vasto che agisce in noi, c’è una sapienza maggiore nelle nostre cellule di quanto la mente ne sia consapevole.
La mente subconscia processa 20.000 stimoli ambientali al secondo, mentre la mente conscia ne processa 40. Ciò di cui siamo consapevoli è soltanto una selezione ridotta di ciò che arriva e di ciò che fanno ogni secondo le cellule del nostro corpo. Il compiersi di un’azione sembra determinato da un pensiero e da una intenzione, ma di più a muoverla è una massa per noi indistinta e impercettibile, invisibile, di forze che agiscono al di là di quello che chiamiamo controllo e che sanno già quale sia la direzione giusta per portare a termine la nostra intenzione.
Concentrandoci sull’agire, sul fluire delle azioni, quindi sul momento del disegnare e sul percorso che traccia la penna, diamo la possibilità a questa massa silenziosa e sapiente di condurci verso il compimento della nostra intenzione.
Questa è la naturalezza.
La pausa, a cui non siamo più abituati, il silenzio contemplativo, il respiro profondo, lo sciogliersi dei muscoli delle spalle, la percezione delle mani stanche arriveranno quando sentiremo che il nostro creare è giunto ad un momento di compiutezza. E la pausa diverrà così un altro momento di creazione, di tempo lento che segue il tempo intenso del creare, di vuoto che definisce il pieno come fa il cielo muovendo i suoi astri e le stelle in modo da farci percepire l’altrimenti impercettibile muoversi della Terra.
(Questa è parte della filosofia che sta al di sotto e in profondità al Corso di Disegno Brutto, il quale viaggia senza intenzionalità verso il compiersi dell’estrema naturalezza).